Il lavoro agile in tempi di Covid 19

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Il lavoro agile in tempi di Covid 19

Tra le misure anti-coronavirus a tutela della salute nei luoghi di lavoro, ha assunto un particolare rilievo il lavoro agile. In proposito, l’art. 2, lettera r), del D.P.C.M. 8 marzo 2020 ha previsto che fino al 3 aprile 2020 sull’intero territorio nazionale:

“La modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli
obblighi di informativa di cui all’articolo 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”.

Dove, in particolare, si fa riferimento a quell’art. 19, Legge n. 81/2017 stando al quale, in particolare, “l’accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, e disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed
agli strumenti utilizzati dal lavoratore”.
Dal suo canto, il D.P.C.M. 9 marzo 2020, all’art. 2, stabilisce, sì, che dal 10 marzo2020 “cessano di produrre effetti le misure di cui agli articoli 2 e 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020”, ma alla condizione – non
ravvisabile in rapporto all’art. 2, lett. r), sul lavoro agile – che siano “incompatibili con la disposizione dell’articolo 1 del presente decreto”.
Quanto mai insistente è poi il D.P.C.M. 11 marzo 2020:
– l ‘art. 1, al punto 6, prescrive che, “fermo restando quanto disposto dall’articolo 1, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020” [ove “si raccomanda ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere, durante il periodo di efficacia del presente decreto, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dall’articolo 2, comma 1, lettera r), appunto relativo al lavoro agile] e fatte salve le attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
La sicurezza sul lavoro al tempo del coronavirus n. 165, assicurano lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente, anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi di cui agli articoli da 18 a 23
della legge 22 maggio 2017, n. 81 e individuano le attività indifferibili da rendere in presenza”;
–  l’art. 1, al punto 7, “in ordine alle attività produttive e alle attività professionali”, raccomanda che “sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza”; – l’art. 1, al punto 10, “per tutte le attività non sospese”, invita “al massimo utilizzo delle modalità di lavoro agile”;
–  l’art. 2, al comma 1, stabilisce che “le disposizioni del presente decreto producono effetto dalla data del 12 marzo 2020 e sono efficaci fino al 25 marzo 2020”, e che “dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto
cessano di produrre effetti, ove incompatibili con le disposizioni del presente decreto, le misure di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2020”.
Al di là dell’apparente semplicità di queste norme, è tutt’altro che agevole coglierne le implicazioni sul terreno della sicurezza sul lavoro agile.
Anzitutto, perché sono rimasti irrisolti i dubbi interpretativi e applicativi sollevati dalla Legge n. 81/2017.

E inoltre perché il D.P.C.M. 8 marzo 2020 impone comunque il “rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni”, e, dunque, dagli “articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81”.
Né i successivi D.P.C.M. del 9 e dell’11 marzo 2020 introducono a questo proposito norme incompatibili con le disposizioni del D.P.C.M. 8 marzo 2020, e, segnatamente, con la disposizione che stabilisce il rispetto dei principi dettati dagli “articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81”.

E ciò anche con riferimento alle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, punto
6, D.P.C.M. 11 marzo 2020: visto che ivi resta esplicitamente fermo quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lettera r), D.P.C.M. 8 marzo 2020, e che coerentemente si conferma esclusivamente “la deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi di cui agli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81”.

 

A) Dall’individuazione dei rischi all’informativa.

B) Attuazione delle misure di prevenzione.

C) Sicurezza e buon funzionamento degli strumenti tecnologici.

D) Luoghi di esecuzione della prestazione lavorativa.